Grotta sopra Le Moelis - Sella Nevea - Canin

Si sa che nelle valli di montagna le comunità sono piuttosto chiuse ai "forestieri", almeno fino a che "l’ospite" non riesce a dimostrare le proprie intenzioni amichevoli e sincere. Quando però si ottiene la piena fiducia dei valligiani, la loro generosità e ospitalità sono sorprendenti e quasi commoventi.

Anche l’ambiente naturale sembra comportarsi così, alle volte. Ad esempio il Fontanon di Goriuda ci ha sempre "sputato-fuori" fino a che non siamo entrati nelle sue grazie e c’è voluto un lungo periodo di conoscenza...

Temo che altrettanto dovremo fare con la "Grotta sopra le Moelis", che di recente ha attirato le nostre attenzioni. Ci siamo dedicati alla conoscenza di questa cavità, sia per il puro piacere dell’attività stressa, sia perché rimaneva il dubbio di poter trovare delle prosecuzioni nel sifone di uscita della grotta. I racconti che avevamo sentito, pur riferendosi a un’esplorazione conclusa, lasciavano spazio a qualche dubbio, che noi volevamo cancellare. Inoltre cercavamo d’individuare un buon sito per le nostre manovre di esercitazione del Soccorso Speleosubacqueo e abbiamo creduto, in un primo momento, che la "Grotta sopra le Moelis" fosse adatta allo scopo.

Tutte speranze disattese.

Innanzi tutto sembrava un gioco da ragazzi individuare il secondo ingresso, quello basso, che ci avrebbe dato accesso al sifone terminale. Un breve avvicinamento nel bosco … un gps, carta dettagliata, rilievo riportato in pianta … ecco fatto! Sembrava di essere già dentro.

… da grande voglio fare l’esploratore…

Ok, abbiamo speso una giornata, tra boschi, canaloni e tanta buona aria di montagna. Ma dell’ingresso neanche l’ombra. Eppure deve essere qua intorno", ci dicevamo. Noi speleo sub siamo teste dure, tenaci e prima di desistere le proviamo tutte. E vabbè …decidiamo di entrare dal primo ingresso, farci tutta la grotta e così il sifone non potrà sfuggirci. Diciamo che più o meno così accade, ma costa altre "due" domeniche. A questo punto non sembra difficile, la grotta è armata, poi ci sono perfino degli amici che si fanno contagiare e decidono di darci una mano.

Io preparo i sacchi con il materiale sub, che tento di ridurre al minimo. Uno speleo sub ha bisogno di sette sacchi per portare un equipaggiamento completo in grotta. Rinunciando ad alcune parti, riesco a infilare tutto in "soli" 5 sacchi. 4 normali e un "bumbo". La cintura dei piombi è già sul fondo della grotta. Ma non è una grande consolazione.

Siamo in cinque: Clarissa, Ernesto, Alex, Tiziana e il sottoscritto.

In esterno ci appoggiano Max, Franco e Patrizia, la ragazza di Alex, che non sa ancora cosa l'attende (focalizziamoci sul significato di "attendere"). I sacchi, per una perversa legge della speleologia, sono sempre di un numero maggiore del numero dei partecipanti.

L’IDEA

Raggiungo il sifone, indosso il materiale contenuto nei cinque sacchi, passo il sifone, ed esco per l’uscita bassa della grotta. A questo punto una radio e "il segnale convenuto" dovrebbero consentire alla squadra d’appoggio di individuare la mia posizione e darmi una mano per il recupero dell’equipaggiamento e portarlo a valle. Avute rassicurazioni in merito al superamento del sifone, la squadra "interna", alleggerita del materiale subacqueo, avrebbe dovuto procedere solo con un facile disarmo. Infine tutti insieme a cena "da Daniele". Facile no?

Ma la pioggia caduta in settimana ci fa trovare l’acqua del sifone più alta, perciò il punto in cui effettuare la vestizione deve essere più arretrato. Decido di percorrere la parte semi allagata del meandro con tutto l’equipaggiamento già addosso. C’è un punto stretto del meandro terminale per raggiungere il sifone. In tuta speleo lo avevo passato espirando. Con la muta stagna addosso: "Non passo". Cavolo! NON PASSO!

La causa è la valvola di carico dell’aria, messa in posizione "sternale", sporge di quei pochi centimetri che bastano a precludermi la possibilità di proseguire. Non crediate che non abbia tentato di trovare un passaggio sopra o sotto il punto stretto. Ma non c’è verso. C’è il rischio, quasi certo, di danneggiare la delicata valvola e compromettere tutto. Passare senza muta significa bagnarsi in un’acqua di pochi gradi, condizione che avrebbe precluso poi l’immersione. E poi c’è il problema della cerniera stagna, che passa da spalla a spalla e occorre l’aiuto di un compagno per chiuderla. Il pensiero di dover tornare indietro senza aver concluso niente è frustrante. Sono ben consapevole della fatica fatta e di quella che ancora ci aspetta. Ma proprio non c’è altro da fare che tornare indietro … se come dice il detto, dentro i sacchi, ci fossero state da mettere solo le "pive" … ci sarebbe andata bene.

Ma si tratta di materiali pesanti, come le bombole, il trapano a batteria, 10 kg di piombi da sub che all’andata non avevamo e tutte le corde. Decidiamo, infatti, di fare il disarmo in quest’uscita. Preferiamo fare uno sforzo maggiore, in una volta sola, piuttosto che tornare ancora, solo per il recupero. Usciamo a mezzanotte.

CURIOSITÀ…

Il lettore forse si sarà chiesto cosa le nostre menti avessero concepito come "segnale convenuto". Quello che avrebbe consentito alla squadra esterna di raggiungermi all’ingresso basso. Ebbene, avevamo creduto di poter utilizzare un piccolo bombolino riempito di elio, con il quale avrei dovuto gonfiare dei palloncini colorati e poi legarli con un filo sufficientemente lungo da farli superare la cima degli alberi che ricoprivano il fianco della montagna e…aspettare!

Ceux-ci sont "le moelis" mon-amì!

Duilio Cobol

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