Ricordando Bunny

franco G

Eccomi qua, Edi. Non solo la mia testa, ma anche le mie mani, faticano a scrivere queste poche righe. Se vogliamo, è un gesto di resa incondizionata che, mi illudo, possa dare un po' di pace ai sentimenti che mi vengono a galla ogni volta che ti penso. Mi arrendo all'evidenza che la nostra amicizia terrena se n’è andata via con te, in luoghi che non mi è ancora concesso di conoscere.

Quando sei apparso sulla porta della vecchia sede di via Frausin, nel 1973, credo di non averti nemmeno notato. Quella volta eravate veramente in tanti a frequentare il nostro CAT e, per me, eravate tutti uguali; certo uno più alto, uno più grasso, l'altro più simpatico e l'altro ancora, magari, con qualche particolarità fisica. Tu eri quel ragazzino con folti mustacchi e "mosca" alla d'Artagnan. In quel gruppetto di giovinastri ti sei inserito senza problemi proprio per il tuo carattere bonario e altruistico.

Non hai mai cercato di farti notare e non hai mai detto una parola, che sia una, contro qual si voglia dei tuoi compagni. Da subito, però, sei stato notato dai nostri "veci" perché avevi una voglia e una volontà incontenibile di conoscere, esplorare e partecipare a tutte le attività del Gruppo. La tua passione era diretta, soprattutto, verso il rilievo topografico e, anche su tua insistenza, venne organizzato il nostro primo corso su questo tema.

Poi, l'attività sul campo. Tanta, veramente tanta. Ho dato una scorsa ai vecchi libri con le uscite di quegli anni e, da questi, risulta che non te ne eri persa, praticamente, nemmeno mezza. L'anno dopo, anche per te, arrivò la realizzazione di un sogno condiviso da tantissimi giovani grottisti: la campagna speleologica in Canin. Non potevamo portarci tutti i nostri giovani e così avvenne una specie di selezione che tu superasti proprio in virtù della capacità di rilevare con una certa sicurezza. In quell'anno, se non mangio memoria, ero impegnato sul Monte Bianco e non partecipai alla nostra "prima". Ma, non mancai a quella dell'anno dopo (1975) che, nel tempo, è stato il primo dei miei trentun campi caninici.

Ti ricordo, in quella occasione, come uno dei più entusiasti partecipanti. Tra l'altro, nei miei confronti, eri già un "veterano". Scendemmo, esplorammo e rilevammo diverse grotte assieme. Già allora c'era un certo affiatamento tra di noi.

Ricordo con particolare piacere la discesa in una piccola grotta, sulle pendici del Pic di Grubia, che aveva il pozzo completamente rivestito dal ghiaccio. Buttammo giù la scaletta con i gradini di alluminio che si "attaccarono" immediatamente al ghiaccio. Staccarla era diventata una vera impresa: con i guanti non si riusciva a fare presa; senza, la pelle delle dita restava attaccata sui gradini lasciando i polpastrelli ustionati. Così ti chiesi di rientrare al campo e portarmi i ramponi, l'ascia e il pugnale da ghiaccio. In questo modo, e con la tua sicura "a spalla", riuscii a risalire e a recuperare la scaletta "in crioterapia".

Alcuni giorni dopo, toccò a te, infilarti in un buco gelido per stendere il rilievo. Il buco era talmente stretto che soltanto in tre avete potuto accedervi: Piero Spirito, Pierin De Nicolo e, naturalmente, tu. La fessura misurava 23 centimetri per 40. Dovevate spogliarvi, passare seminudi sulla lingua di ghiaccio che pavimentava l'ingresso e poi rivestirvi dall'altra parte: giuro che non ho invidiato la vostra magrezza. La grotta consisteva, allora, in un tubo completamente avvolto dal ghiaccio e con alcuni depositi di neve. Quando usciste eravate blu, come una comitiva di puffi. Non riuscivate a spiccare una sillaba e le mascelle erano contratte in un sorriso ebete che avrebbe dovuto significare "va tutto bene...". Bravi ragazzi, ma non vi ha creduto nessuno.

E, così continuasti fino al 1985, sempre presente a tutte le attività sociali. Poi, come succede spesso nella vita di chiunque, il matrimonio, il figlio in arrivo, ecc. ti hanno visto assente dalla sede per una decina di anni. Ci ritrovammo nel 1995, in occasione del 50° anniversario della fondazione del CAT. Poche settimane dopo eravamo nuovamente insieme, carichi come muli, a trasportare attrezzature e viveri per il campo in Canin.

Subito dopo, mi stressasti la vita, per apprendere le più recenti tecniche di progressione in corda che ti eri perso. Da quel giorno, abbiamo percorso la nostra "grottistica" strada sempre insieme, con l'unica esclusione delle spedizioni all'estero, perché il tuo lavoro di responsabilità non ti permetteva di assentarti per lunghi periodi dal lavoro. Ogni anno decine di grotte e di cavità artificiali da scoprire, esplorare e rilevare. Ogni anno, assieme, per i corsi, per l'accompagnamento in grotta di scolaresche. Ogni anno, scavi, convegni, feste, e quant'altro ci possa stare nella vita di un grottista.

Sempre con te al fianco.

Una presenza sicura, affidabile e discreta.

Un vero amico.

Con Franco Gleria, avevamo fondato il "Geriatric Team". Tre grottisti "datati" che portavano avanti l'attività dando quello che potevano, come potevano e quando potevano. Con questa banale scusa abbiamo veramente dato tanto; sia al Club, che a noi stessi. Al Club in termini di esplorazioni, rilievi, documentazione, ecc.; a noi a livello di amicizia e di reciproca stima.

Con luglio del 2010 dovevi andare, finalmente, in pensione. Non riesco nemmeno a ricordare quali e quanti progetti avevamo nel cassetto a partire da quel giorno. Cassetto che mi impegno ad aprire, prima o poi, per rispetto a te. Perché lasciarlo chiuso sarebbe un grave torto nei tuoi riguardi e sarebbe come tradire la parola data.

Ma, vecio mio, non puoi pretendere che sia la stessa cosa, senza di te. Si usa dire che la vita continua. È vero, ma non vuol dire che continui come prima. Ci sono dei vuoti che restano incolmabili. E, sulla mia pelle, sto verificando che quelli lasciati da una vera e profonda amicizia, come la nostra, sono molto più difficili da colmare di quelli lasciati anche dai familiari più stretti.


Una cosa ho imparato dalla tua prematura scomparsa: che l'Amicizia, come l'Amore, è un sentimento talmente forte che non è possibile cancellare, nemmeno davanti alla innegabile presenza di una lapide. Sopravvive, proprio perché questa realtà rende il legame, e il ricordo, più forti che mai. Tu, per me, ci sei ancora e io, per te, ci sarò sempre.

Resta in zona, Amico mio. Quando sarà il momento, verrò a cercarti io.

 

(Articolo scritto da Franco Gherlizza su Tuttocat 2010)