ESTATE 2009
L’idea di conoscere la Sardegna ipogea, di scendere nelle viscere dell’isola, di scoprire il suo sottosuolo mi è passata per la mente in aprile, quando ho trovato nella cassetta della posta lo Speciale Qui Touring dedicato alla Sardegna. Strappata impazientemente la busta di carta che proteggeva la rivista sono corsa, con lo sguardo, alle pagine centrali, dedicate a un succoso dossier sportivo. Cercavo gli articoli dedicati agli sport d’acqua - vela e canoa, canyoning e windsurf - e a quelli dell’aria - dal deltaplano al parapendio, dall’aliante al kitesurf - che avevo scritto io. Sfogliando velocemente la rivista, però, mi ha colpito una foto meravigliosa: l’abisso di Tiscali, illuminato da un raggio di sole, e la gola Troccu de Horojos, dove, complice la luce che entra solo a mezzogiorno, in primavera fioriscono i gigli pancrazi. Che meraviglia. Ho chiesto subito informazioni a Silvia Campanelli, coordinatrice sarda della federazione italiana canyoning e soprattutto speleologa appassionata. “Sì”, ha confermato, “la Sardegna è veramente un paradiso per chi vuole scoprire mondi sotterranei ancora, in parte, inesplorati”. E così ho iniziato a informarmi un po’, a leggere, a chiedere. Ne ho parlato con Moreno e Gianfranco ed entrambi hanno aggiunto il loro entusiasmo al mio. Gianfranco, inoltre, era stato già parecchie volte in Sardegna e aveva descrizioni, rilievi, contatti e materiale.
Da qui a organizzare, sul serio, il viaggio, è passato davvero poco tempo. Definito il gruppo dei partecipanti - Gianfranco, Moreno, Christian, Daniela, Gianluca ed io - abbiamo trovato un volo economico sul web, abbiamo prenotato, sempre via web, automobile e alloggio e abbiamo definito, in linea di massima, il programma del viaggio. Anzi, Moreno, con la sua proverbiale precisione, ha voluto definire giorno per giorno le escursioni in programma. Anche se poi il programma, come era logico che fosse, ha subito modifiche dovute soprattutto al caso. Ma è questo il bello del viaggiare, in fondo.
Dopo l’arrivo, nottetempo, a Cagliari, e una notte, poco riposante, in un hotel vicino all’aeroporto, abbiamo iniziato la prima giornata in Sardegna con il ritiro delle nostre automobili e con un’escursione alle saline di Cagliari, in cerca di fenicotteri. Una ricerca vana, perché i fenicotteri erano pochi, e sorprendentemente grigi. Ci siamo comunque consolati con le dotte spiegazioni di Gianfranco su un piccolo ed entusiasmante crostaceo della zona. In tarda mattinata abbiamo quindi iniziato il nostro viaggio verso Cala Gonone, tra un’autostrada circondata da fichi d’India, poco traffico, autogrill che parevano usciti da una tv in bianco e nero e sensazionali panorami, come quello che ci siamo goduti dal passo sopra Cala Gonone. Dopo un paio d’ore di paesaggi aridi e di colori spenti Gianfranco, che aveva suggerito l’itinerario panoramico di avvicinamento, oltre il monte Bardia, ci ha sorpresi con l’azzurro intenso del golfo di Orosei. Dopo una discesa veloce verso il mare e lo sbarco in hotel, siamo subito usciti per scoprire Cala Gonone e sgranchirci un po’ le gambe con una passeggiata, poi diventata una sorta di trekking, sulla spiaggia. Una sorta di prova, inoltre, per Daniela, ancora alle prese con qualche dolorino alla caviglia dopo una brutta slogatura.
Il 12 settembre, dopo la sveglia di buon mattino (almeno per me e Gianluca), siamo partiti alla volta della Grotta Donini per un entusiasmante canyoning ipogeo. Nonostante avessimo le coordinate e delle indicazioni di massima la ricerca dell’ingresso non è stata facilissima ma, una volta all’interno, siamo stati ricompensati dalla bellezza degli ambienti, con la roccia letteralmente scolpita dall’acqua della Codula Orbisi, pozzi semisommersi, un canyon immenso e una splendida sequenza di marmitte. Arrivati alla fine ci attendeva l’uscita, su una parete esterna, con una calata di 50 metri. Irraggiungibile, visto il basso livello dell’acqua. Così siamo ritornati in parte sui nostri passi. Moreno ha trovato una corda per una risalita, l’ha utilizzata nonostante non fosse in condizioni ottimali e, passandoci i due croll e le due maniglie che avevamo, siamo tornati tutti in superficie. La cosa buffa era che non avevamo precisamente idea di dove fossimo. Ma la fortuna, che come sempre aiuta gli audaci, ci ha dato una mano. Mentre ci stavamo asciugando sono passati tre appassionati di trekking che ci hanno indicato la direzione per ritornare verso l’ovile di Sedda Ar Baccas, dove avevamo le automobili. Non c’erano sentieri, solo un ambiente selvaggio e affascinante e delle vespe, che hanno punto sia me che Christian, ma alla fine siamo rientrati a Cala Gonone senza problemi.
Il giorno successivo ci siamo “riposati” alla Grotta del Bue Marino. Dopo la partenza di primo mattino, per prendere il primo battello utile per la grotta, abbiamo approfittato delle capacità oratorie di Gianfranco per riuscire a visitare anche la parte non turistica della grotta. In pratica, alla fine, quasi risultavamo tutti biologi. Superato velocemente il percorso turistico, comunque splendido, soprattutto per le ragguardevoli dimensioni, abbiamo indossato la muta e abbiamo proseguito la camminata alla scoperta del ramo sud. Sono circa tre chilometri in una galleria dal diametro di 15 metri circa, con una lunga successione di laghi, di acqua dolce, che si concludono con un sifone di 600 metri circa, prima del quale ci siamo fermati. Tutto è enorme, sorprendente. Si avanza passeggiando tranquillamente su delle vere e proprie spiagge o nuotando in questi laghi circondati da grandi concrezioni e riempimenti basaltici.
Il giorno dopo ci siamo dedicati al turismo vero e proprio. Il mattino è stato riservato a Nuoro, con tanto di visita al Man, il Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, per la tanto pubblicizzata visita alla personale di Ed Templeton, il nuovo Andy Wahrol. Non è stata fenomenale ma comunque interessante, almeno per alcuni di noi. Poi, al pomeriggio, ci siamo inoltrati nella Barbagia, una terra aspra, dura, famosa per i suoi banditi, per incontrare Pietro, uno speleologo che ci ha dato alcune fondamentali indicazioni per la visita delle grotte di Su Bentu e Su Palu. Pietro è stato ospitale e prezioso, gentile e accogliente come solo le persone del sud sanno essere. Tanto che il suo continuo ripetere “Siamo a Oliena”, che significava che era lui il padrone di casa e che lui voleva pagare il caffè o la bibita che stavamo bevendo, è diventato un po’ il motto della nostra vacanza sarda. Con Pietro siamo stati anche alle sorgenti di Su Gologone, una fonte ipogea, a dir poco scenografica, che sgorga direttamente da una parete granitica, formando un laghetto da cui esce un torrente, che si immerge in un boschetto di eucalipti. E poi da lì siamo arrivati all’accesso della grotta di Su Bentu, nel parco nazionale del Gennargentu. Proprio Su Bentu è stato il nostro successivo impegno. Sono poco più di 5 chilometri di meraviglie, affrontate però con un po’ d’ansia, almeno da parte mia, con la certezza che l’uscita sarebbe stata lunga, davvero lunga, e che i nostri due team leader, Moreno e Gianfranco, erano un po’ tesi, preoccupati di non riuscire ad arrivare alla fine.
Al mattino, dopo la colazione all’alba, siamo arrivati tutti puntualissimi all’automobile. Dopo un cambio velocissimo, siamo entrati con il fiato un po’ corto per l’emozione, superando subito il Primo Vento. E che vento. Si capisce che “di là” c’è qualcosa di immenso. Christian e Moreno ci hanno lasciati quasi subito, per andare ad armare un pozzo che abbiamo poi utilizzato per la risalita. Daniela, Gianluca ed io, guidati da Gianfranco, abbiamo proseguito, piuttosto tranquilli, sulla cengia, facendo non poca fatica sulle discese già attrezzate, con corde che erano veri e propri “canaponi”, e un tratto della ferrata piuttosto precario. Non avevamo fatto i conti, però, con la velocità dei mitici Christian e Moreno che, in men che non si dica, si sono palesati alle nostre spalle.
Moreno, ovviamente, non ha preso bene la cosa. Ha iniziato a spronarci, cercando, a suo modo, di stimolarci ad andare veloci. Il che ha messo me e Gianluca piuttosto in ansia. Inoltre c’era un caldo davvero soffocante. E non ho ancora capito se l’arsura continua era dovuta proprio al caldo o allo stress. Superata la cengia, e un’emozionante tirolese, abbiamo affrontato una calata mozzafiato, in un ambiente enorme, strepitoso. In effetti per chi è abituato agli angusti spazi carsici Su Bentu non pareva nemmeno una grotta. La luminosità delle nostre lampade a led si perdeva nell’immensità. E poi c’erano di continuo dei bivi e la possibilità di perdersi mi pareva davvero concreta. Ma, quasi senza accorgercene, siamo arrivati, pur con qualche rimbrotto, alla Grande Frana. Da lì, dopo le urla di giubilo (incontenibili) di qualcuno, ci siamo concessi una breve pausa per la merenda e poi abbiamo iniziato il percorso di ritorno, attraverso il ramo dei laghi. Senza l’odiosa, e pericolosa, ferrata sulla cengia il passo è stato molto più veloce. Ci siamo divertiti con tuffi spettacolari, lunghe nuotate in canyon così profondi che non pareva nemmeno di essere sottoterra e poi un paio di comode risalite, nonostante la stanchezza. Alla sera ci siamo rilassati con culurgionis e seadas in un ristorante tipico. Condendo con aneddoti e sensazioni il racconto della giornata.
Il giorno dopo, giovedì, ci siamo rilassati. Nonostante l’antipatia di Gianfranco per il sole, abbiamo noleggiato un gommone e ci siamo dedicati alla scoperta delle baie intorno a Cala Gonone: Cala Luna, Cala Biriola, Cala Sisine, Cala Goritzè. Poco relax, nonostante Daniela volesse godersi un po’ del caldo sole sardo, qualche nuotata e un po’ di passeggiate, ovviamente con qualche puntatina nelle tante grotte che si aprono sul Golfo di Orosei. Il giorno successivo per me e Gianluca le vacanze sono finite. Siamo tornati a Nuoro, per acquistare i dolcetti sardi, ci siamo fermati a Cagliari, per uno splendido giro per il centro storico, e poi, dopo il volo, siamo arrivati a Trieste, sotto una fitta pioggia. Daniela, Gianfranco, Moreno e Christian hanno approfittato della nostra assenza per velocizzare la visita a Su Palu. E poi per scoprire il monte Tiscali. Non il villaggio nuragico adiacente perché lì, incredibile ma vero, Moreno ha trovato qualcuno con cui litigare. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.
Anna Pugliese
Tratto da TUTTOCAT 2010