La storia della città di Trieste… è scritta sull’acqua! Il nostro socio e amico Sergio Dolce non poteva che esordire così nella propria conferenza tenutasi sabato 17 marzo al Circolo della Bocciofila di San Giovanni. La sala era gremita di appassionati e residenti che hanno sfidato le gelide raffiche di bora per ascoltare le spiegazioni sulle acque del rione e della nostra città; dopo un’iniziale introduzione ai fenomeni geologici della zona carsica e sulla composizione del "flysch" ossia stratificazioni di marne e arenarie, Sergio ci ha spiegato l’evolvere della storia delle acque e degli acquedotti, dai tempi dei Romani ai giorni nostri.
Partendo da un accenno all’acquedotto della Val Rosandra, lungo 17 km, di età romana, che portava l’acqua del Rosandra fino all’antica Tergeste, e che poi fu distrutto dai Longobardi. Successivamente a Trieste, per secoli, si raccolse l’acqua piovana tramite pozzi e cisterne. Fino ad arrivare poi al 1749 quando Maria Teresa, con un editto, ordinò la costruzione di un acquedotto, inviando degli esperti a vagliare il nostro territorio ricco di sorgenti e studiare i metodi per imbrigliare l’acqua e aumentare così la portata delle acque, visto che la popolazione cresceva di continuo. Nell’arco di circa tre anni (1751) Trieste aveva il proprio acquedotto! Il Capofonte di San Giovanni presentava delle canalette con ghiaia e sabbia per filtrare l’acqua coperte da lastre di pietra. L’acqua passava in tre vasche di filtraggio consecutive, per una successiva captazione idrica, a sua volta veniva convogliata nelle condutture che portavano in città, scendendo per il Viale (Acquedotto appunto), per arrivare al Borgo Teresiano e terminando il percorso alle Fontane dello scultore bergamasco Giovanni Battista Mazzoleni ossia alla fontana del Giovannin in Ponterosso, del Nettuno in Piazza della Borsa ed in Piazza Grande alla fontana dei Quattro Continenti.
Sergio ci ha spiegato che successive estati siccitose, nei secoli, portarono alla mancanza di acqua, si costruirono quindi l’Acquedotto di Aurisina, poi quello del Randaccio nel 1929, congiunto a quello di Aurisina per captare le acque di varie risorgive e potenziato poi negli anni ’50 e ’70. L’ultimo acquedotto degli anni ’80 utilizza i pozzi di Pieris e San Pier d’Isonzo. Dopo una sfibrante ed impari lotta con le tecnologie in rivolta, tra cavi, proiettore, prese elettriche, schermo e chiavetta Usb che remavano contro, Sergio col prezioso aiuto di Guido Bottin, è riuscito a far partire sia le fotografie, storiche e più moderne, che dei video, con immagini della Galleria Stena con acqua limpidissima e le volte con arco a tutto sesto; scopriamo poi il Capofonte e l’apertura del Pozzo di ispezione di alcuni metri.
Passiamo poi alle immagini della fauna delle gallerie artificiali della città, con le spiegazioni delle varie specie di Nyphargus, crostaceo degli Anfipodi, simile al gamberetto, cieco, privo di pigmenti e abituato alla vita al buio, che presenta il corpo curiosamente schiacciato lateralmente: questo gli consente di muoversi di lato, sul fondo di laghetti concrezionati.
In "anteprima assoluta" sui questi schermi (!!!) Sergio ha proiettato le fotografie e il breve video girato "di rapina" e inaspettatamente da me e Dean a febbraio nelle vaschette concrezionate della Galleria in scavo naturale della Kleine Berlin, che riprendono la minuscola femmina di Nyphargus con la bianchissima sacca delle uova, unitamente ad alcune immagini della sanguisuga/predatore Trocheta il cui colore varia dal verde al grigio-marrone. La conferenza ha abbracciato davvero un ventaglio di tematiche geologiche, naturalistiche, storiche per approfondire il tema idrico della nostra città!